Per chi si fosse perso il mio ritratto, ve lo ripropongo sul blog. Ringrazio il giornalista e amico Stefano Belviolandi per avermi sottoposto queste domande che mi sono state di grande stimolo.
Chi è Michele Puccio?
Sono il frutto di due culture radicalmente differenti. Papà di Palermo e mamma di Brunico. Cosa hanno in comune questi due posti? Praticamente nulla e io ho avuto l’onore di vivere in Sicilia per i primi 23 anni della mia vita e adesso ho il privilegio di vivere in questa fantastica terra che è l’Alto Adige.
Cosa significa essere oggi ai ‘posti di comando’?
Vuol dire accettare il ruolo con uno spirito di servizio perché i nuovi leader dovranno mettere al centro delle loro scelte le persone. Ci sono stati gli anni in cui era centrale la scelta della materia prima, poi c’è stata l’epoca in cui il focus è stato sulle tecnologie, successivamente la chiave di tutto è diventata il processo e l’organizzazione adesso è il momento in cui il protagonista dev’essere la persona. Le persone e l’impatto che vogliamo generare con loro nel sistema. Mai come in questi anni un manager di un’azienda medio grande si trova ad avere team i cui membri potrebbero appartenere a quattro generazioni differenti che non condividono valori e priorità. Questo vuol dire che ogni sforzo imprenditoriale potrebbe essere vanificato se non si tiene conto di quest’aspetto sociologico, sia per le dinamiche interne che quelle del mercato. L’umanità ha raggiunto livelli di consapevolezza che non aveva mai raggiunto in passato, questo vuol dire anche che le aspettative nei confronti di chi opera sul mercato sono di altrettanta consapevolezza che non può non portare l’uomo al centro di ogni scelta.
A cosa deve il successo nel suo lavoro?
Credo che la parola che possa riassumere un po’ tutto quello che ho fatto e che consiglierei a un giovane è la passione. Devi avere tanta, tanta passione per quello che fai. L’etimologia di questa parola deriva sia dal participio passato del verbo latino pati, che significa letteralmente sofferto, sia dal greco pathos che indica una forte emozione. Questo vuol dire che puoi avere tutto l’entusiasmo del mondo nel far qualcosa, però quando vuoi continuare a migliorare, devi uscire obbligatoriamente dalla tua zona di comfort ed è quello il momento che tutti i sacrifici non ti pesano solo se hai una passione dirompente per quello che fai.
Come si è avvicinato al mondo dell’Ict?
Credo che il passaggio fondamentale sia stato un corso tecnico post laurea, di quelli finanziati dall’Unione Europea, per diventare sistemista di rete e di database relazionali. Era in parte in aula e in parte on line e lo seguivo con un vecchio Compaq e con una connessione telefonica a 56 K. Stiamo parlando dell’anno 2000 e quelli erano proprio i primi passi dell’online.
Quali sono le migliori scelte che ha fatto da un punto di vista professionale?
Credo che la più strategica sia stata quella di continuare a investire su me stesso in formazione senza attendere per forza le scelte aziendali. Più crescevo di ruolo, più divoravo libri e corsi. La formazione non può fermarsi alla scuola. Anzi, ti dirò di più, è proprio dopo che hai trovato un lavoro che ti appassiona che devi dare un’accelerata alla formazione perché le cose da approfondire sono troppe. La scuola non ti può preparare al lavoro del futuro che comunque non sai neppure quale sarà quando si è ancora giovani. Ci tengo anche a sottolineare che è importante investire su se stessi, ovvero sostenere il costo della formazione anche quando il ritorno è incerto, ma prima o poi arriverà.
Si è mai trovato nella necessità di fare scelte dolorose, ovviamente da un punto di vista professionale?
Purtroppo si. Umanamente e idealmente vorresti che tutti possano trovare la loro dimensione nella tua azienda, ma sappiamo che non è possibile. A volte ci sono delle incompatibilità professionali o attitudinali. A volte ci sono dei progetti fallimentari e o delle scelte corporate che non sono allineate alle scelte personali. Beh, confesso che ognuna di queste situazioni le vivo un po’ come un fallimento. Vivo il rammarico che forse avrei potuto fare o dire ancora dell’altro, ma è chiaro, arriva il momento per le decisioni e una strada va intrapresa.
Qual è il pregio che ammira di più nelle persone e quale è il difetto che proprio non le va giù?
Il pregio che amo più nella gente è la curiosità. Perché la curiosità è il carburante per tantissime altre cose. Per la voglia di fare, per l’ambizione, per l’innovazione e chi più ne ha più ne metta. Dall’altro lato il difetto che non sopporto proprio è chi si lamenta e che lo fa in maniera disfattista. Confesso un’intolleranza nei confronti di queste persone perché mi rendo conto che mi drenano energia.
Direbbe grazie a…e perché? A chi chiederebbe scusa e perché?
Grazie sicuramente a tutte le persone che in questi anni hanno creduto in me e mi hanno dato una possibilità. A quelli che hanno seguito un po’ il loro istinto e hanno intravisto delle opportunità anche se non ero quello con i voti più alti, quello col curriculum più qualificato, ma hanno comunque creduto che ce la potessi fare. Queste persone hanno deciso di scommettere su di me, eh sì, era una scommessa, mi hanno dato la famosa opportunità. Vorrei chiedere scusa invece a tutti quelli che non si sono sentiti compresi dal sottoscritto. Quando gestisci team molto grandi è una cosa quasi inevitabile, prima o poi ti accade. Lo leggi nei loro occhi, sai che quella persona non si sente capita in quel momento e ciò accade anche quando hai tutte le migliori intenzioni, ma…
Tema giovani. Cosa cercano? Come giocano il loro futuro?
Difficile rispondere a questa domanda perché in realtà ho visto tantissime situazioni completamente differenti. Però c’è una cosa che li accomuna e sai cos’è? Cercano se stessi. Un neo diplomato o un neo laureato quando inizia a lavorare non ha chiaro né cosa gli piace fare, né ha chiare le aspettative per il futuro. E’ bello osservarli perché tutti comunque cercano una loro identità. E a vent’anni, non sanno, che tra altri venti, quella domanda tornerà a bussare alla loro porta.
Pro o contro lo smart working? Perché?
Smart working tutta la vita, home working mai, o in qualche isolato caso di necessità. Smart è sinonimo di flessibilità che per me è una parola bellissima a cui associo tante, tante opportunità. Se lo smart working invece si declina con una segregazione a casa, vedo solo tanti aspetti negativi. Siamo degli esseri sociali. Abbiamo bisogno del confronto, noi ogni giorno diventiamo più ricchi grazie alle persone che frequentiamo, quindi perché dovremmo rinunciare alla nostra principale fonte di ricchezza?
Pro o contro i social media? Perché?
Assolutamente pro perché come dicevo prima siamo degli esseri sociali e come dice la parola stessa “social media” sono dei tool che ci aiutano a socializzare. E ce n’è per tutti i gusti. Per gli appassionati delle immagini, per gli appassionati del parlare, ci sono quelli in cui scrivi e altri in cui canti e balli. Hanno democratizzato la possibilità di espressione. Dobbiamo porci dei limiti? Certo. Ma così come i social, ogni altra cosa nella nostra vita potrebbe creare dipendenza. Ecco, dobbiamo rimanere sempre noi i conducenti della nostra vita.
Quali le criticità che ha messo in luce, nel suo quotidiano, la pandemia da Covid-19?
Nel mio quotidiano lavorativo devo dire praticamente nulla. Nel mio quotidiano personale, essendo padre di due figli, mi sono reso conto che il sistema scolastico non era e non è pronto al piano B. E devo dire che purtroppo non mi sembra si stia attrezzando nei dovuti modi per continuare a gestire questa situazione per periodi prolungati. Mia figlia frequenta la terza media e ho fatto una stima del coinvolgimento scolastico sui tre anni. Quello che è emerso è che probabilmente su un percorso di tre anni, completerà il suo ciclo con appena la metà del tempo previsto nella normale didattica. Il nostro settore potrebbe dare un grandissimo contributo, ma siamo ancora lontani da una corretta mentalità digitale.
Quali le modalità per procedere al cambiamento dopo la pandemia Covid-19?
Mi collego alla risposta di sopra. L’investimento prima che tecnologico dev’essere culturale. Inutile investire in mascherine e vaccini se non hai investito abbastanza nel trasferire consapevolezza del perché prendere certe precauzioni. Stesso discorso vale per la trasformazione digitale. Per ogni euro investito in digitalizzazione, forse ne dovremmo investire prima il doppio per supportare una corretta diffusione di una mentalità digitale.
Se fosse un piatto che piatto sarebbe?
Non ho dubbi, un bel piatto di spaghetti allo scoglio. Amo cucinare. Mi dà la possibilità di fare qualcosa di manuale e di coltivare la mia passione per il buon cibo. Nella cucina serve tecnica, dedizione, pazienza, creatività, è un esercizio completo alla vita. Cosa c’è di più appassionato che cucinare per qualcuno che ami. Ecco, gli spaghetti allo scoglio sono un piatto da un lato non troppo sofisticato, ma i prodotti da cui è composto devono essere freschissimi se voi preparare un capolavoro e quando cucini, c’è quel momento finale in cui metti gli spaghetti nella padella e cominci ad amalgamare il tutto. Ecco, mi è già venuta fame.
Se fosse un quadro?
Quello che ho dietro le spalle. E’ un quadro di Andrea Agostini, “Il magico racconto del mare segreto”. Questo quadro ha qualcosa di magico e fiabesco. Ha un faro al centro e all’interno del raggio di luce c’è scritto “La luce del sogno”. Ecco, quella luce, quel faro, quella frase, è come se mi ricordassero tutti i giorni la direzione da seguire.
Se fosse un film?
“La ricerca della felicità” di Will Smith. E’ uno dei pochi film che riesco a riguardare con la stessa tensione emotiva. Mi piace tutto di quel film, a partire dal titolo che racconta un po’ quello che è il cruccio di tutti. Ho cominciato la mia carriera da venditore in anni ancora molto poco digitalizzati. Ho dei ricordi di tanta solitudine. La solitudine negli hotel, la solitudine delle attese nei parcheggi, nei tragitti in auto. Poi mi ricorda quel senso di responsabilità che sta dietro quelle vendite. Perché alle spalle di ogni singola vendita non c’è solo la ricompensa economica, c’è molto di più. Ci sono implicazioni familiari, ci sono implicazioni emotive personali, ci sono i sogni tuoi e di tantissime persone che vivono e lavorano con te.
Se fosse una stagione?
Anche qua non ho dubbi, l’autunno. Allora, adoro l’alternanza, non vorrei mai abitare in un posto che ha lo stesso clima tutto l’anno. Il cambio delle stagioni mi scandisce il tempo, però quando penso alle stagioni, le immagini che ho più nel cuore sono quelle delle passeggiate nella natura in autunno quando il paesaggio attorno a te ha quei colori stupendi. Mi sembra di sentire il rumore delle foglie calpestate, hai presente?
Se non facesse il lavoro che fa, che lavoro farebbe?
Ho quasi la certezza che farei il coach a tempo pieno. Il coaching ha dato una svolta strategica alla mia carriera, al mio modo di interpretare tutti i giorni il mio ruolo da manager. Il coaching ti aiuta a tirar fuori il meglio da tutti, quindi a quale maggior gratificazione puoi pensare se non quella che si ha nel supportare qualcuno nel raggiungimento dei suoi sogni, nella scoperta della sua anima?
Se avesse una bacchetta magica…
So che desiderio esprimerei. Mi piacerebbe dare a tutti l’opportunità anche per solo un istante di vedersi nella propria interezza. Sai, per me, l’essere umano è come un albero, c’è una parte che mostra a tutti, ovvero il tronco, i rami e le foglie e poi c’è un’altra parte meravigliosa che sono le radici. Anche durante il profondo inverno, quando la pianta sembra morta, sotto terra c’è una vita che continua. Credo che molte persone mostrino e conoscano solo una parte di sè. Ecco, per un istante, mi piacerebbe dare a tutti la possibilità di vedere quanta meraviglia c’è che nascondiamo. Sì, perché penso che siamo molto di più di quello che spesso mostriamo.
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